Una class-action a Rapallo è certamente una notizia, lo sono le numerose cause (non propriamente class-action perché nel nostro ordinamento non esiste) intentate contro il gestore idrico per il canone di depurazione, da anni in bolletta in assenza di un depuratore. Non è però la prima volta che a Rapallo decine di persone si uniscono per una causa legale condivisa. Prima di questa ve ne fu un’altra, oltre centocinquant’anni fa, per un motivo molto meno venale di quello di adesso. Si trattava della causa intentata da oltre cento rapallesi, di Cerisola e Cappelletta, contro il Ministero dei Lavori Pubblici per la ricostruzione della cappella di Sant’Agostino, posta nell’attuale piazza Molfino, di fronte alla stazione, demolita per la costruzione della ferrovia, nel 1867.

Rapallo, rappresentata in una cartina militare del 1830 ca. La freccia indica il punto in cui si trovava la Cappella, in corrispondenza dell’attuale Piazza Molfino

Non si trattava di un’opera antica, né particolarmente artistica, anche se era imponente. Non si hanno dati sull’epoca della costruzione, nella cartina di Matteo Vinzoni, della seconda metà del Settecento è assente, mentre è presente nella cartina militare del 1830. Era posta proprio alla fine di Corso Italia, a margine della curva verso quella che oggi è corso Assereto, oggi sarebbe al centro di piazza Molfino.

Durante i lavori per la costruzione della ferrovia ne venne decisa la demolizione, probabilmente per rendere più agevole l’uso della stazione, altrimenti nascosta. Sappiamo, da alcune righe nel libro di Gianluigi Barni “Storia di Rapallo” che ci fu un dibattito in consiglio comunale, ma purtroppo non ne sappiamo di più perché il Bollettino del Santuario di Montallegro del 1942, dove apparve un articolo sull’avvenimento non è più reperibile, non è neanche stato depositato nelle biblioteche statali come previsto dalla legge.

Quello che invece è emerso di recente, in modo del tutto casuale com’è abituale in questi casi, è che la distruzione della cappella provocò una vera class action, diremmo oggi, cioè una causa legale collettiva, degli abitanti di Cerisola e Cappelletta, il cui risultato furono due sentenze, la prima pretorile e la seconda del Tribunale di Chiavari, nelle quali però risultarono soccombenti.

Di recente presso l’Archivio di Stato di Genova abbiamo trovato proprio quest’ultima sentenza, emessa nel mese di aprile del 1869, numero di repertorio 774.

I proponenti di questa azione legale collettiva, furono centotrentanove persone, tutte residenti appunto in Cerisola e Cappelletta, come è specificatamente indicato, probabilmente si trattava di altrettanti capifamiglia. I ricorrenti lamentavano che la cappella era stata demolita dagli operai della costruenda linea ferroviaria nel novembre 1867 a seguito di esproprio della Prefettura di Chiavari verso il Comune di Rapallo, al quale anzi era stata versata una indennità di duemila lire (una somma notevole per l’epoca). Ma i ricorrenti osservavano che il comune non aveva mai avuto il possesso della cappella, le cui chiavi erano tenute da due persone di Cerisola, ed erano sempre i fedeli che provvedevano a tenerla in ordine per le funzioni religiose. Osservavano altresì che la cappella non si trovava sull’area dove era stata costruita la ferrovia, e quindi la demolizione poteva anche essere evitata. Per tutti questi motivi ne chiedevano il ripristino.

Ma il Pretore, a settembre del 1868, dichiarò la sua incompetenza in materia, in quanto si trattava di esproprio per pubblica utilità, competente era il Prefetto. E il Tribunale confermò la sentenza.

Dalla sentenza ricaviamo però qualche altra notizia: la prima è la data dei lavori per la ferrovia nel nostro comune, l’autunno del 1867, la seconda che l’attuale Corso Italia aveva già questa denominazione, infatti si legge che la cappella era “nella già strada Sant’Agostino ora Italia”, infine si parla di cappella “in forma di graziosa porta”.

Una piccola storia rapallese, che dimostra però come quei nostri progenitori erano capaci di affrontare la pubblica amministrazione nelle giuste sedi quando ritenevano che fosse stato violato un loro diritto, e che, a differenza di oggi, non lo facevano per un motivo venale, come sono le cause odierne contro il gestore del servizio idrico.

Con questo articolo Agostino Pendola, cultore di storia locale, inizia la sua collaborazione con PiazzaCavour.it