Il dibattito sul Parco di Portofino – che per legge è diventato Nazionale e che, grazie all’impegno di privati e associazioni che ne hanno sollecitato l’attuazione, sta diventando finalmente realtà – riapre spazi di riflessione importanti sul modello di sviluppo e conduzione del nostro territorio.
Un riflessione che muove dal recente passato e dall’impatto con la modernità, che ha profondamente cambiato l’ambiente e la struttura delle società contemporanee. E che per Rapallo, innegabilmente, ha prodotto effetti pesanti.
Qui la trasformazione è avvenuta senza mediazioni, senza visione, in praticamente totale accondiscendenza con (legittimi) interessi di natura privata che hanno sostanzialmente soverchiato le mal difese ragioni di quelli pubblici.
Il processo si è compiuto nel giro di pochi anni.
La trasformazione si è rivelata una disordinata rivoluzione.
Il vecchio borgo si è fatto oltremodo città.
L’essenza di ciò che c’era, del respiro che ne disegnava e che ne trasmetteva la bellezza, è andata irrimediabilmente perduta.
Le geometrie, gli spazi i volumi, gli equilibri sono tutti saltati.
Le profondità e rapidità del cambiamento hanno spezzato il lineare andamento del tempo. L’identità si è smarrita dentro una generazione.
La perla di un tempo, quella nei racconti sospirati dei vecchi, quella semplice e sublime che si univa naturalmente con mare e cielo, quella che oggi scandagliamo pollice a pollice nelle foto che scorrono in qualche gruppo social con gli occhi stupiti e sofferenti come quando si osserva un mondo perduto, è sfiorita. Non c’è più. Quell’atmosfera di un borgo che pareva nato dalla stessa mano che ne aveva creato il contesto ambientale, adagiato il paesaggio, adattato il clima, è svanita.
Rapallo tante, forse troppe volte guarda indietro al suo passato come ad un periodo ideale. E più guarda profondamente più l’enfasi annaspa, suda, perde lo sguardo nella vana ricerca di quell’età aurea, ispirata ad un’età secolare che per mano nostra, e non per la ruggine che il tempo naturalmente sedimenta, non c’è più.
Certo, non tutto è livido. Molte tracce pure restano intatte, molti anfratti valgono oggi quanto nel loro passato (recentemente è finalmente tornato alla disponibilità la spiaggia del Castello dei Sogni; mi manca molto il cammino che unisce Prelo e Trelo, in quell’avamposto impossibile tra mare inquieto e roccia tagliente ritrovo una pace sublime; lì, spero presto di poterci tornare).
Ma è l’insieme del corpo ruentino, diventato grasso troppo in fretta, abnorme, imbottigliato, un Lego di pezzi vecchi e nuovi, uniti a forza senza logico incastro; che si deteriora, e che alimenta sempre più profonde differenze urbane e sociali che pesano irrimediabilmente su tutto l’insieme che contribuiscono a comporre.
Rapallo si è sviluppata senza mai fare veramente i conti con ciò ci cui aveva di più prezioso, unico, un talento ambientale e paesaggistico peculiare, un creato mediterraneo generoso e prosperoso, sistematicamente ignorato al momento di tutte le grandi scelte che hanno rimodellato la città uscita dall’ultima guerra. L’amore tra la Rapallo post-bellica e la sua ancestrale bellezza, spesso ostentato, non hai mai ha toccato l’apice di un pathos incondizionato, sempre sottomesso a logiche di interesse.
E mai, localmente, è stata fatta un’analisi fredda, ragionata, educativa di questa sofferta storia che segnasse la discontinuità con il passato il cui modello è sempre stato ampiamente differente da quello dei comuni che storicamente sono all’interno della cornice del Parco di Portofino. Che pure avrà dei difetti, ma che ha avuto un efficace ruolo di garanzia e di tutela del territorio, come ben chiaro già da molto tempo. E che ha garantito la conservazione dei valori, non solo ambientali.
Un’estate al mare – Montanelli a Portofino – di Indro Montanelli – 1973 (lo stesso filmato è disponibile anche qui)
Dunque due modelli a confronto che hanno prodotto risultati ben diversi.
Oggi, entrare nel Parco Nazionale di Portofino (in un buon parco: ben amministrato, con regole chiare, finanziamenti adeguati) significa finalmente e prima di tutto cambiare mentalità, ottica e strumento di sviluppo e di gestione del territorio. Che oggi viene disposto con i PUC, ma che sempre più si concretizza grazie a varianti urbanistiche in successione e senza una visione d’insieme.
L’adesione di Rapallo al Parco comporta una maturazione ed evoluzione amministrativa, significa rimettersi in gioco nel mercato del turismo, ridarsi davvero una nuova concreta e non effimera immagine, adottare un nuovo modello culturale prima ancora che ambientale.
Cambiare significa continuare a lavorare, ma in modo diverso. Significa chiudere definitivamente la stagione antica di uno sviluppo senz’anima né radici, significa guardare in modo diverso all’interesse l’interesse pubblico che non è mai la sommatoria di quello privato; significa riprendere davvero in mano il proprio destino che è intimamente legato al suo territorio e alle sue persone. C’è tanto di buono da fare. E Rapallo, più degli altri comuni che sono nel gioco di questa nuova buona storia, ne ha davvero un gran bisogno.