Lo sguardo pensieroso è ricurvo sulla città livida.
L’eterna promessa salvifica è svanita.
Ancora una volta.
Anni d’iradiddio si sono abbattuti sulla città già dolente.
Nuove ferite la sua pelle ne mostra.
E altre se ne annunciano a sfidare logica e natura.
La storia non fa tesoro.
La narrazione brillante ha glorificato se stessa.
Non cronaca, non verità – racconto di una stagione.
Ora il tempo porge il conto dei fatti.
La narrazione dell’io sopra tutto è svanita. Rinnegata.
Il senso delle parole viene piegato a scopi di parte.
Il linguaggio è reciso dal suo significato.
Maschere in scena su un palco lontano. Lontano.
La città vive il ritmo del suo incedere.
Accoglierà il destino che lei stessa si sceglie.
Senza dolersi e forse neppure accorgersi delle sue macerie invisibili.
Sta arrivando la primavera.
Ma manca quell’aria pulita preludio della nuova stagione.
E’ un’aria stanca che regge e sorregge, che ammalia, che ammorba e accomoda.
Che è sempre la stessa.
Basterebbe volerla, la primavera.