Sanità, scuola (e ricerca) pubbliche. Temi riproposti intensamente in queste settimane virali. Pubblici servizi per i quali si sprecano gli elogi e si moltiplicano le iperboli. Eppure, oltre gli effimeri entusiasmi, questa è una occasione formidabile per un profondo ripensamento del nostro rapporto con questi mondi. Perché fino a ieri – in particolare negli ultimi tre decenni di una fallimentare seconda Repubblica – sono state troppe volte sfrondate, mortificate, impoverite, denigrate.
Crollata nel rispetto e considerazione sociali, la scuola; precaria, baronale cenerentola le cui ristrettezze imposte hanno fatto arretrare la capacità di innovazione del paese, la ricerca. Frammentata per soddisfare i voleri di una regionalizzazione diseguale ed egoista che ne ha decretato una vergognosa, inaccettabile graduatoria in termini di accesso, qualità, risposta, costi, tempi, concorrenza interna, la sanità; oggi, nel breve giro di qualche contagio e nelle conseguenti aspettative di tutti, per impegno e sacrificio hanno ripreso il posto strategico che meritano nella considerazione di tutti.
Per decenni le abbiamo date in delega, pretese come dovute, pur manlevandoci dall’obbligo dello loro custodia. Le abbiamo lasciate agli automatismi sempre più degradati della politica, sperando che fossero comunque impenetrabili, inattaccabili, scontate. Poi, convinti dalle sirene martellanti che le hanno condotte nel sempre più stretto crinale dei costi quale unico metro di valutazione, interpretate alla stregua di capitolo di bilancio, le abbiamo lasciate andare alla deriva, verso una lenta implacabile corrosione. E oggi, travolti dalla valanga mediatica da cui attendiamo spiragli di speranza, le abbiamo messe al centro dell’altare eroico ed emozionale di questi tempi vigili.
Ma non basta. Bisogna andare oltre, comprendere i contorni, far propria la consapevolezza (ancora!) sullo stato delle cose e ciò che rappresentano.
La scuola, la sanità – pubbliche, gratuite, accessibili – sono una tangibile conquista democratica e costituzionale: non una propaggine, ma parte dell’essenza. Il welfare – il sistema sociale che le custodisce – è il cuore del nostro modo di essere, è la più alta espressione di convivenza solidale, delinea i tratti qualitativi del nostro grado di cittadinanza, è uno dei paradigmi su cui si arrotola il filo del dna che determina il tratto sociale della nostra civiltà.
Abbiamo un primato, lo vediamo nel confronto con altri paesi in questa crisi che sfiora gli estremi. Come il nostro (seppur imperfetto), solo pochi sistemi al mondo sono arrivati così in là nel declamare e concretizzare i diritti fondamentali e nel tracciare la linea frontiera dell’inclusione e della giustizia sociale. Sono loro che ci rendono uguali (o forse è meglio dire meno diversi), cioè con le medesime possibilità di partenza e sopravvivenza, il punto di congiunzione della nostra identità civile, il luogo dove la vita (nei termini di possibilità, aspettative, cura, sviluppo) non sono misurate con l’impuro e parziale parametro del valore economico, ma con il metro universale di un valore intrinseco.
Scuola e sanità pubbliche sono i luoghi dove la vita vale a prescindere, vale in quanto tale. I luoghi faticosi, dolorosi della costruzione della dignità, di una chance consegnata al destino di tutti, senza distinzioni, né contropartite. Delle istanze alla pari, delle svolte impensabili. Le trincee disperate e sublimi dell’assoluto che diventa possibile.
Per questo, quando queste non funzionano, per l’inadempienza di un singolo o per gli errori del sistema, noi i cittadini abbiamo il dovere di intervento, prima ancora del diritto di lamentela.
La politica, spinta da una nuova consapevolezza modellata dai fatti, può anzi deve fare molto: non dimenticare la sintesi che rappresentano, non girarsi dall’altra parte, non occuparle come una colonia al saccheggio, non spolparle, non soffocarle, non cedere a sirene e lusinghe, non satinarne d’opaco gli obiettivi. Per contro questo passaggio impone una inversione epocale al fine di preservarle, rafforzarle, finanziarle. Senza ambiguità dopo i lunghi lustri sacrificali.
La crisi rimette le cose nella giusta prospettiva.
Raramente le cose sono state così chiare come ora.