209 miliardi.
A tanto ammonta il contributo europeo, in parte a fondo perduto e in parte in prestito, che verrà riconosciuto all’Italia per risollevarsi dalla situazione critica in cui si trova.

Pochi giorni fa il governo ha illustrato ai presidenti di Montecitorio e Palazzo Madama i criteri per la definizione del Piano italiano per i fondi del Recovery Plan.
Un documento di 38 pagine e sei direttrici di intervento, con il quale dovrà convincere i partner europei ad allargare i cordoni della borsa.

Queste le mission contenute nel documento: digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione, formazione, ricerca e cultura; equità sociale, di genere e territoriale; salute.

Quali potenzialità di spesa ci saranno per i territori?
Provo ad azzardare un criterio distributivo, basato sulla densità di popolazione dei 7903 comuni italiani. 209 miliardi di € diviso 60 milioni (più o meno la popolazione italiana) moltiplicato 30.000 (più o meno la popolazione, ad esempio, di Rapallo ) fa poco più di 100.000.000 € di fondi, potenzialmente di pertinenza di un Comune come il nostro.

Non sarà sicuramente così.
Una buona parte del capitale a disposizione sarà utilizzato per interventi ed iniziative di natura nazionale che eroderanno le possibilità di spesa nei comuni.

Ma questo semplice esercizio numerico, vuol solo far capire che siamo di fronte ad una somma ingente ed a possibili sviluppi epocali, secondi solo a quelli del Piano Marshall per la ripresa europea post seconda guerra mondiale.

A sentire le cronache, sarebbero centinaia le idee progettuali esaminate sui tavoli della politica romana, ma non si sa come siano state proposte o scelte.
Sarebbe auspicabile il coinvolgimento di tutta la filiera politica: dalle amministrazioni comunali a quelle provinciali e regionali, attraverso un confronto leale, costruttivo ed aperto e al di la di ogni connotazione ideologica.
Perché bisogna decidere quello che serve per la gente, per i territori, per il sistema produttivo.
Ma di questo confronto nulla è noto, almeno a me, in un periodo in cui l’ha fatta da padrona l’ennesima campagna elettorale per le elezioni regionali ed amministrative di qualche comune.

In questo periodo Covid, poter investire, anche a Rapallo, ad esempio in Sanità e Scuola, sarebbe sicuramente una buona cosa.

A fronte di una ventilata privatizzazione di un piano dell’Ospedale Nostra Signora di Montallegro, si potrebbe, di contro, prevedere invece un potenziamento della struttura e del punto di primo intervento oltre al sostegno alla medicina del territorio con la creazione anche di case della salute intercomunali o comprensoriali al fine di abbattere le lunghe liste di attesa e le migrazioni verso altre regioni e verso le efficienti, ma care, strutture private.
Una sanità più capillare con risposte veloci ed assunzione di nuovi medici ed infermieri, contro invece una tendenza che non valorizza le strutture pubbliche con cronici problemi di bilancio, tali da dover giustificare il ricorso alla alienazione a soggetti privati.

Gli edifici scolastici del nostro comune, che in questi anni sono stati oggetto di alcuni interventi di adeguamento, potrebbero essere rivalutati per ricollocarne alcuni in aree migliori e soprattutto con concetti architettonici diversi: antisismici, green, a nullo consumo di energia, con aule più ampie per assicurare i giusti spazi interpersonali, con luoghi di socializzazione anche per tempi extra scolastici.

Le mission del Recovery Plan, costituiscono lodevoli e contemporanei intenti che andranno concretizzati con ogni sforzo.
Ad una prima e per me superficiale lettura, viste le criptate informazioni disponibili, le direttrici fissate sembrano però non lambire minimamente tematiche di importanza strategica.

Nulla è detto ad esempio nel campo urbanistico.
Periferie, aree industriali dismesse, interi quartieri costruiti troppo in fretta e senza qualità ed i necessari servizi (Rapallo insegna) e che bene potrebbero essere associati al termine rottamazione, non sembrano destinatari di nessuna forma di investimento.

Nulla è detto per il tessuto commerciale che ora più che mai ha bisogno di vero sostegno per tenere su quelle serrande che la gravità della situazione sta facendo abbassare.
Non solo traslazione o alleggerimento di tributi, finanziamenti garantiti, ma una politica più vicina e concreta per la quale le associazioni di categoria sarebbero sicuramente già in grado di dare i giusti suggerimenti.

Nulla è detto sugli investimenti per la difesa del territorio nazionale dal rischio idrogeologico.
Investire in infrastrutture, come previsto dalle mission, su un territorio antropizzato, fragile e sofferente come il nostro, stride un po’.
Per tornare dalle nostre parti, ad esempio, poter attingere ad una quota di quei 209 miliardi al fine di mettere in sicurezza i versanti delle nostre frazioni e soprattutto i nostri rivi, primo tra questi il torrente San Francesco, che fino al ponte dell’autostrada ricordo essere a forte rischio esondazione, sarebbe un grande risultato.

In passato, bisogna ricordare, che localmente sono già state sottovalutate le opportunità di finanziamento di interventi di difesa dal rischio idrogeologico sostenuti dalla struttura governativa di Italia Sicura.
Genova e località più vicine a noi come Santa Margherita e Chiavari, ci hanno creduto ottenendo concreti finanziamenti ed avviando i necessari cantieri.
Perdere un altro treno sarebbe oltremodo incomprensibile.

Sta ora alla politica di ogni livello, parlarsi, confrontarsi, supportarsi, giocare di squadra, proporre attraverso patti tra i sindaci e tra governatori, con l’auspicio di poter incidere sulle previsioni del governo centrale.
Ma per essere credibili in questa interlocuzione occorre avere le idee chiare e studi nel cassetto o in itinere.
Cioè una attitudine ed un patrimonio di progettualità che possano traguardare alle generazioni del futuro, scalzando una generalizzata tendenza a vivere il quotidiano per l’ottenimento di un facile e rapido consenso, spendibile.