Nella mia famiglia si era sempre raccontato di un avo che “aveva combattuto con Garibaldi”; dettagli più precisi non c’erano, ma si diceva che era stato via da casa a lungo, e che di tanto in tanto la madre si recava a Chiavari dai frati per chiedere notizie. Una mia nonna, la nipote, raccontava che quand’era bambina, era nata poco prima del 1890, suo nonno scendeva in centro a Rapallo per prendere una pensione. Si diceva anche che fino agli anni trenta del novecento in casa c’era la documentazione, forse diplomi, o anche oggetti, una divisa, ma tutto era andato disperso.

Una trentina di anni fa decisi di fare qualche ricerca. Per prima cosa, cercai il suo nome esatto, e lo trovai nell’archivio parrocchiale di Sant’Andrea di Foggia, si chiamava Giovanni Battista Costa di Francesco, nato il 24 febbraio 1828. Ma trovarne traccia in qualche archivio, questa si rivelò tutta un’altra storia.

Per prima cosa, cosa significava aver “combattuto con Garibaldi”? E poi, le campagne garibaldine sono state tutte brevi, pochi mesi, qualcuna anche meno. Ancora, com’è possibile che un contadino di Sant’Andrea di Foggia sia stato attratto dal mito garibaldino? I tigullini, ma non solo, che hanno partecipato alle varie spedizioni erano tutti emigrati a Genova (uno a Livorno). Solo la spedizione dei Mille era durata a lungo, da maggio a novembre, quando venne sciolto l’esercito meridionale, com’era definito l’esercito di Garibaldi. Dopo i Mille, partiti da Quarto il 5 maggio 1860, altre spedizioni, per circa venti/venticinquemila persone si erano aggiunte nei mesi successivi, in una di queste c’erano i rapallesi Bartolomeo Canessa e Giovanni Fontana (che comunque erano ormai fuori Rapallo, il primo marinaio, il secondo lavorava forse come commesso a Genova).

Comunque, un giorno mi ero recato in Archivio di Stato a Genova a consultare gli elenchi degli smilitarizzati genovesi del novembre 1860, ma di Giovanni Battista Costa nessuna traccia.

Fino a due anni fa. Nell’estate del 2021 un amico rapallese mi segnalò che aveva trovato online il Progetto Torelli (https://www.solferinoesanmartino.it/progetto-torelli/progetto-torelli-risultati/)

Si tratta di questo. Nella torre che a Solferino ricorda la battaglia del 1859 a fine ottocento era stato collocato un museo dell’Unità Italiana, e al suo interno c’era (c’é) un registro che elenca tutti gli italiani che hanno combattuto per l’Unità Nazionale, sia militari dell’esercito regolare che dei corpi franchi (garibaldini). Un registro di cui ignoravo l’esistenza.

Negli anni del Covid il registro è stato digitalizzato da alcune scuole superiori. Trovare il nome del mio avo, utilizzando il filtro della città di provenienza è stato facile. “Campagna del 1849”.

Ora era tutto chiaro, aveva partecipato alla fase finale della prima guerra di indipendenza, forse alla sfortunata battaglia di Novara (23 marzo 1849).

Di recente ho chiesto all’archivio di Stato di Torino se c’è il suo foglio matricolare. Dopo una decina di giorni mi giungeva la risposta, il documento c’è, è consultabile, e con pochi euro avrebbero inviato una scansione alla mia casella di posta elettronica. Ottenutolo, ho notato che non si tratta a un foglio matricolare come siamo abituati a vedere oggi, un foglio piegato in quattro facciate, ma è più semplicemente uno spazio su un grande registro, dove, da sinistra a destra è indicata la matricola, il nome, i dati sull’arruolamento, il reparto nell’esercito, il grado e le note.

Giovanni Battista Costa venne arruolato nel settembre del 1848 per la ferma di leva e nel dicembre assegnato alla seconda divisione, in un battaglione di cacciatori. Il 16 marzo cambiò reggimento, e si trovò nel quarto battaglione del nono fucilieri della seconda brigata provvisoria. Era una brigata assegnata al generale Alfonso La Marmora, che nel febbraio era stata destinata alla Liguria orientale, precisamente tra La Spezia e Sarzana. A febbraio e marzo avvenne lo spostamento, dal Piemonte dov’era acquartierata, attraverso Genova e la nuova strada orientale (la nostra via Aurelia). Il nostro Giovanni Battista quindi molto probabilmente attraversò Rapallo, una cittadina che forse conosceva, ammesso che fosse sceso qualche volta dal suo paese sulla collina.

Nel mese di marzo, con la ripresa della guerra con l’Austria La Marmora decise di attraversare la Lunigiana e arrivare nel Parmense, dove in effetti giunse il 22 marzo.

Ma fu una breve permanenza, da qualche giorno l’esercito austriaco aveva invaso il Piemonte e il 23 marzo fu il giorno della battaglia di Novara, dove l’esercito piemontese venne sconfitto. A seguito della sconfitta il re di Sardegna, Carlo Alberto, si dimise, e Vittorio Emanuele divenne re, chiedendo subito la cessione delle ostilità.

La Marmora dovette abbandonare velocemente il Ducato e rientrare in Piemonte, cosa che fece a partire dal 28 marzo.

Se fino a questo momento le peregrinazioni della divisione hanno interessato solo gli storici militari, la destinazione successiva sarebbe stata oggetto di scritti, proteste, polemiche che sono giunte sino ai nostri giorni. Perché nell’aprile del 1849, com’è noto, La Marmora fu a Genova, a soffocare la sollevazione che c’era stata alla notizia della sconfitta di Novara.

Quando, a fine marzo del 1849, giunse la notizia della sconfitta di Novara i genovesi temettero che l’Austria inviasse il suo esercito a occupare la città; venne proclamato un governo provvisorio e organizzata una Guardia Nazionale. Vittorio Emanuele, re da pochi giorni, voleva a ogni costo evitare disordini nel suo regno, che potessero dare all’Austria il pretesto per intervenire. Inviò quindi rapidamente a Genova gli unici reparti dell’esercito disponibili perché non coinvolti nella battaglia a Novara.

Alfonso La Marmora, partito da Parma il 28 marzo, per accelerare la marcia, mandò avanti i bersaglieri, che in cinque giorni giunsero nella Val Polcevera, mentre lasciò indietro la fanteria, dov’era Giovanni Battista.

La repressione della sollevazione fu opera dei bersaglieri, con alcuni reparti di artiglieria, mentre la fanteria, e particolarmente il 25esimo reggimento, fu destinato a operazioni di copertura, di occupazione di posizioni. Possiamo quindi essere certi che il nostro avo non partecipò ai saccheggi e alle violenze descritte nei mesi e negli anni successivi, definiti anche il sacco di Genova.

Dalla documentazione militare risulta che a metà maggio il reggimento era acquartierato nei forti Diamante e Sperone (sopra il Righi).

Non sappiamo quanto tempo Giovanni Battista restò a Genova, nel giugno 1850 venne posto in congedo illimitato, e esattamente cinque anni dopo in congedo definitivo.

Intanto si era sposato con Maria Canessa, e nel 1854 nacque il primo figlio, Francesco. Un secondo maschio, Giacomo, sarebbe nato solo nel 1867; ebbero anche una bambina, che sarebbe diventata mia bisnonna. Francesco e Giacomo emigrarono in Argentina, nel censimento argentino del 1895 risultano entrambi residenti ad Azul, una cittadina della Pampa, sposati con figli.

Non sappiamo quando morì; nei registri dello stato civile di Rapallo risulterebbe morto già nel 1871, ma con un’altra moglie. D’altra parte la testimonianza della nipote, mia nonna, che ricorda che all’inizio degli anni novanta andava a prendere una pensione in carrozza è certa.

Però morì comunque prima del settembre del 1895, perché nell’archivio del comune di Rapallo è presente un elenco manoscritto dei reduci delle patrie battaglie, e Giovanni Battista Costa non c’è.

Rimane una domanda: perché Garibaldi nel racconto familiare?

Possiamo ipotizzare che i ricordi del reduce si siano saldati con la mitologia garibaldina successiva, il mito del Generale sarà arrivato certamente anche a Sant’Andrea di Foggia anche se solo per via orale.

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Si ringrazia la funzionaria dello Stato Civile di Rapallo per la abituale cortese collaborazione.

Nelle foto, la targa in piazza Corvetto a Genova che ricorda il 1849, il disegno, tratto da una pubblicazione dello Stato Maggiore dell’Esercito, che raffigura un soldato sardo della metà dell’Ottocento;  il diploma rilasciato dal Progetto Torelli. In copertina una vista di Genova dal dipinto da Ippolito Caffi.